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Roma Castel Sant’Angelo noir

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Roma Castel Sant’Angelo noir

Un’assolata domenica di novembre presi parte alla visita guidata di Castel Sant’Angelo, controverso ed originale simbolo della Città Eterna.

La maestosità del Monumento si intuisce sin da subito sentendosi accolti dallo splendente Ponte S. Angelo, lungo 18 metri, unica via di accesso e di collegamento con le due rive del Tevere, adornato da 10 statue raffiguranti Angeli che portano i simboli della Passione di Gesù, scolpiti su disegno del Bernini.  

Passeggiando e selfando inquadrature lungo il Ponte, si gode della facciata solenne di Castel S. Angelo, monumento che racchiude 2000 anni di storia, con i suoi molteplici volti e nomi che ha modificato la Sua destinazione d’uso nel corso dei secoli, resiliente e cangiante, apprezzato e temuto.

In effetti lo splendido Monumento vanta la denominazione di Mausoleo, Fortezza, Residenza delle Famiglie Aristocratiche, Castello dei Papi, Prigione.

Le molteplici sfaccettature di questo Monumento “instabile” affascinando milioni di turisti, ha conquistato anche me. 

Partiamo dall’inizio: nato come sepolcro per volontà dell’Imperatore Adriano, nel 130 D.C. il Mausoleo funebre doveva somigliare all’oramai completato Mausoleo di Augusto, fu terminato un anno dopo la morte di Adriano.

La Sua posizione fortemente decentrata, lo poneva fuori le Mura Aureliane, ma verso il 403 venne inglobato; e da quel momento in poi, divenne una vera e propria fortezza per le molte famiglie aristocratiche, le quali ne contendevano il possesso.

Tra le Sue vesti, fu Roccaforte di Senatori e di Papi. Uno di questi, Papa Niccolò Orsini, fece realizzare il famoso Passetto di Borgo, per collegare il vicino Vaticano al Castello, utilizzato dagli stessi Papi per scappare nei momenti di pericolo, accrescendo così la fama del Castello così solido, fortificato e imprendibile.

Da Castello a Forte Prigione. Tra i Suoi illustri prigionieri, Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro, avventuriero, esoterista e alchimista italiano, imprigionato nella cella di lusso detta la “Cagliostra”, nel 1789. La Cagliostra, seppur non sempre visibile ai visitatori, è adornata da preziosi affreschi in stile grottesco, scene greco romane e mitologiche, putti e divinità, a simboleggiare la rinascita dell’arte dopo il decadimento medievale. Una cella alquanto “insolita” per un prigioniero, come insolita la Sua evasione nel momento della Sua esecuzione pubblica.

Altra esperienza unica è la salita alla splendida Terrazza del Castello, dal valore simbolico e naturalistico.  La Terrazza è infatti dominata dalla statua di San Michele Arcangelo,da cui deriva lo stesso nome del Castello,assegnato da Papa Gregorio Magno, nel 590D.C.

Leggenda vuole che il Papa ebbe la visione di un Angelo nell’atto di riporre la spada e lo interpretò come simbolo per decretare la fine di una terribile pestilenza e carestia che si abbatté sulla popolazione. Quella sera stessa infatti, la pestilenza cessò ed il mausoleo di Adriano divenne il Castello dell’Angelo.

Proprio questa statua insieme alla campana dei condannati, contribuiscono a rendere ancor più particolare l’atmosfera della terrazza dell’Angelo.
La campana non suona più, ma in passato il suo rintocco era l’annuncio delle esecuzioni capitali che di lì a poco avrebbero avuto luogo nel cortile delle fucilazioni, di fronte il Castello dell’Angelo. Di questo si parla, con Castel Sant’Angelo a far da sfondo, nella Tosca di Giacomo Puccini, dramma che vede la protagonista Tosca gettarsi dagli spalti dopo aver assistito alla fucilazione dell’amato Cavaradossi.

La visita al Castello termina proprio sulla sommità della Terrazza dell’Angelo, da cui è godibile un romantico ed impagabile panorama, con i suoi simboli della storia di Roma quali il Vaticano e la Cupola di S. Pietro, L’Altare della Patria, il quartiere ebraico e la Sinagoga, la gigantesca mole del Palazzo di Giustizia (il Palazzaccio), il verde di Villa Borghese, il Quirinale, il Pantheon, il Campidoglio, l’Aventino, il Gianicolo e San Pietro.

Nel lasciare questo luogo controverso, mi ritorna alla mente la frase pronunciata dall’Imperatore Adriano, in punto di morte, divenuto l’epitaffio della lapide funeraria, custodita nella Sala delle Urne; una dolce poesia pronunciata dal più grande Imperatore pacifista e amante della cultura classica:

ANIMULA VAGULA, BLANDULA,/ HOSPES COMESQUE CORPORIS,/ QUAE NUNC ABIBIS IN LOCA/ PALLIDULA, RIGIDA, NUDULA,/ NEC, UT SOLES, DABIS IOCOS…

Piccola anima smarrita e soave, compagna
e ospite del corpo, ora t’appresti a
scendere in luoghi incolori, ardui e spogli,
ove non avrai più gli svaghi consueti.
Non vi è destino senza mèta
non vi è mèta senza viaggio

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