Il mio profondo interesse per le molteplici culture e tradizioni, mi ha condotto alla scoperta di questa perla, situata lungo la riva sinistra del Tevere, il quartiere ebraico o Ghetto, termine nato per indicare quella zona della città in cui gli ebrei erano anticamente confinati ad abitare, e completamente rinchiusi durante la notte.
La mia passeggiata inizia dal Circo Massimo (antico circo romano) tra il colle Palatino e l’Aventino, passando per la Bocca della Verità, il Teatro Marcello e approdando al Portico d’Ottavia, spazio adibito nell’antica Roma alla vendita del pesce, luogo di partenza alla scoperta del Quartiere Ebraico.

La nostra bravissima guida comincia con i cenni storici: siamo nel 161 a.C. quando alcuni ebrei della Palestina chiedono e ottengono la protezione di Roma. Un piccolo nucleo di ebrei viene ad abitare in città, giungendo come schiavi, ma presto riscattando la propria condizione diventando “liberi”. Giulio Cesare e Augusto hanno in gran conto la comunità ebraica romana, la cui popolazione sale in breve a 40.000 persone.
Nel 67 d.C. la comunità ebraica romana inizia a vivere lunghi periodi di ostracismo,e questo sarà l’inizio di una lunga sequenza di divieti alternati a riconoscimenti, culminando nei capitoli oscuri del periodo nazi fascista, passando per il terribile attentato nel 1982, e arrivando finalmente al riconoscimento del popolo ebraico come vittime storiche di guerra nell’aprile 1986, quando Papa Giovanni Paolo II, recandosi in visita alla Sinagoga rese omaggio alle vittime dello sterminio nazista, rinsaldando il dialogo ebraico-cattolico edefinendogli ebrei:
“nostri fratelli prediletti,e in un certo modo, nostri fratelli maggiori”
Vale la pena ricordare infatti che proprio ad opera dei Papi cattolici questa comunità ha avuto la peggio, soprattutto dopo il Concilio di Trento con la promulgazione diaspre leggi contro i non Cattolici.
Fu Papa Paolo IV, neoeletto, a rinchiudere circa 3000 ebrei nel Ghetto di Roma, imponendo leggi discriminatorie, come l’istituzione dell’Indice dei Libri Proibiti, secondo il quale tutti i libri scritti da autori non cattolici dovevano essere dati al rogo;oppure con l’emissione della bolla pontificia che fece alzare i muri in cui furono rinchiusi tremila ebrei o le prediche coatteche obbligavano gli ebrei ad assistere alle messe cristiane nel tentativo di convertirli.
Finalmente nel 1870 cadde lo Stato Pontificio, e l’amministrazione italiana riconobbe a tutti i cittadini pari dignità, così le porte del ghetto vennero definitivamente eliminate.
Successivamente, l’orrore tornò con il nazismo. In particolare, a Roma non può essere dimenticata la data del 16 ottobre 1943, quando le truppe naziste invasero il quartiere e rastrellarono 1024 esponenti della comunità ebraica per deportarli ad Auschwitz.
Insomma questo popolo nomade ma estremamente resiliente all’ambiente, mi ha affascinato e commosso perché nonostante le ostilità ha mostrato dignità e capacità di adattamento anche nelle situazioni più estreme.
In particolare le donne del ghetto di Roma, hanno liberato la loro creatività quando agli ebrei era proibito ogni mestiere d’arte; cucendo a mano, nelle loro case, perché il telaio era uno strumento troppo costoso, mostrando fedeltà e tenacia verso la loro identità minacciata.
Talmente abili nell’arte del cucito che venivano impiegate nella cucitura dei tessuti destinati ai Pontefici, malgrado non fosse loro concesso, hanno tramandato la tradizione nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri in cui si riconoscono ancora le abilità di questo popolo, nel commercio dei tessuti e dell’abbigliamento.
La visita alla Sinagoga ed il Museo ebraico è una tappa fondamentale per capire usi e costumidel popolo ebraico. Il percorso inizia dal Museo con la ricostruzione della vita ebraica a Roma, fin dai primi insediamenti del II sec. a c. considerata la Comunità più antica presente fuori dalla Terra d’Israele.
La ricchissima collezione comprende arredi liturgici, manoscritti, documenti storici, registri ed opere marmoree, sette sale dai temi diversi. Le mie preferite, la Sala 3 e 4; la Sala 3 o delle Feste ha una bella rappresentazione di Tavola conviviale bandita durante lo Shabbat Sabato di riposo, e vetrine rappresentanti oggetti della tradizione giudaica, come il “riscatto del primogenito e la circoncisione”. La Sala 4 offre una ricca collezione di Argenti, tessuti preziosi e marmi policromi, tributo agli oggetti che gli ebrei donarono alle loro sinagoghe per utilizzarle all’interno delle celebrazioni liturgiche.

La Sinagoga fu inaugurata nel 1904, quando gli ebrei raggiunsero l’equiparazione dei diritti civili. Elemento caratteristico è la Cupola a base quadrata, dipinta con i colori dell’arcobaleno, dove sono raffigurati due tipi di albero, uno per lato: il cedro del Libano e la palma da datteri israeliana.
Oltre alla meravigliosa Cupola, sono apprezzabili l’Aron o Armadio Sacro, in fondo alla navata centrale – arredo sacro che custodisce la Torah(rotoli della legge), le ricche decorazioni in stile art nouveau, nonché tutti i simboli ebraici disseminati ovunque all’interno, come il candelabro a sette bracci, i tavoli della legge e la stella di Davide.
Tra le caratteristiche che accomunano tutte le Sinagoghe, ritroviamo il Matroneo (divisione tra donne e uomini) il Pulpito dove l’officiante esegue la funzione rivolto verso Gerusalemme, e le 7 finestre laterali che ricordano il Tempio di Gerusalemme.
Degna di significato e visibile al pubblico, la Sinagoga Spagnola sotterranea, ricordo delle “vecchie Scole” prima che venissero distrutte, perla architettonica al di sotto del Tempio Maggiore.


Termino la splendida visita al ghetto con una bella passeggiata per il quartiere, tra le pietre di inciampo, ricordo della deportazione, addolcendo ricordi amari tuffandomi nella cucina ebraica o definita kosher. Merita una sosta al ristorante Su’Ghetto, nel cuore del ghetto, ambiente giovane e dinamico, definito luogo per eccellenza della tradizione giudaico-romanesca, kosher senza latte.
Parlando di cucina kosher, si definiscono tali i cibi quelli “permessi” ovvero lavorati e cucinati seguendo alcune regole imprescindibili. Non sono kosher il maiale, i pesci senza squame, i crostacei e i molluschi, ma anche le ricette che mixano latte, burro e latticini in genere alla carne, una netta separazione fra carne e latte, diventando un vero e proprio stile di vita.
Mi impongo la scelta di alimenti vegetali come i carciofi alla giudia, le polpettine falafel, l’hummus di ceci ed il couscous di verdure e termino con la famosa pizza dolce ebraica del forno Boccioni, a base di pinoli, mandorle, uvetta e canditi, preparata in genere per lo Shabbat.
Sono entusiasta di aver scoperto questo angolo di Roma ricco di storia e di memorie che mi ha fatto apprezzare ancor di più le tradizioni di questo popolo nomade dotato di grande resilienza. La dignità non dovrebbe in nessun caso essere calpestata, e quando capita, conservare la lucidità e la fiducia non è scontato. Riconosco la fierezza e la nobiltà d’animo in ogni angolo di questo quartiere, che invito a visitare una volta nella vita per rendere giustizia all’orgoglio di questo straordinario popolo.
